lunedì 30 giugno 2014

Gli studi di Ferrante Rittatore Vonwiller.

Ferrante Rittatore Vonwiller e Turiddo Lotti sono due tra i ricercatori che negli anni trenta e quaranta, con maggior passione si impegnarono nello studio del nostro territorio. 
Ferrante Rittatore nacque a Milano il 2 febbraio 1919 e già da ragazzo, incoraggiato dalla madre Dora Vonwiller, mostrò un'innata passione per l'archeologia. A soli 15 anni partecipò alla compilazione della Carta archeologica della Maremma. Concluso nel 1937 il liceo classico,  pubblicò Strade nel Chianti Settentrionale e Resti etrusco-romani nell'Aretino sulla rivista Studi Etruschi. In un suo contributo alla Carta Archeologica d'Italia del 1939,  prese in considerazione la zona  tra Pitigliano e la parte settentrionale della Selva del Lamone. Nel suo testo compare una prima descrizione degli antichi pagi della Roccaccia, del Morranaccio, di Castelfranco, del Podere La Grascia, oltre al ricordo di ritrovamenti ceramici e tombe romane al Voltoncino, al Fontanile di Valderico, al Pian di Lance, a Monte Fiore, a Poggio Luccio al Fontanmile di Pantalla, al Pian Morrano. 
Nel 1941, insieme a Turiddo Lotti,  esperto conoscitore dei luoghi ed appassionato all'archeologia, pubblicò un secondo importante contributo, nelle intenzioni degli autori funzionale  alla redazione della Carta Archeologica. Grazie ai loro studi, abbiamo oggi, oltre alla descrizione delle tombe e dei reperti provenienti dalla necropoli di Castro, anche informazioni sulla presenza di tombe a loculo e a nicchia rupestre di epoca tardo romana, collegate con tagliate stradali a nord della chiesa del Crocifisso, insieme ad altre a camera con loculi e fosse.
I due studiosi individuarono inoltre nuclei di sepolture etrusche , ellenistiche e romane, lungo le strada per Manciano passante per Ponte S. Pietro, durante i lavori per la costruzione della strada Farnese-Pitigliano, e nei pressi di Ischia di Castro
Nel 1975 gli venne conferita la cittadinanza di Ischia di Castro. Nel 1976, dopo aver lasciato l'insegnamento per dedicarsi al riordino dei risultati della sua vita di ricercatore, morì a causa di un'ulcera perforata.
Il  Museo Civico Archeologico " Pietro e Turiddo Lotti", di Ischia di Castro, ha dedicato a Ferrante Rittatore Vonwiller la sala di apertura, con reperti del paleolitico superiore e neolitico rinvenuti nella Grotta di Settecannelle e materiali di varia provenienza dell'eneolitico e dell'età del bronzo.











domenica 29 giugno 2014

Il borgo di Pianiano nel comune di Cellere (VT).


Lasciando l'Aurelia a Montalto di Castro e prendendo la provinciale verso Valentano, subito dopo il bivio per Cellere, sulla destra, ci si imbatte nel borgo di Pianiano. Come per la maggior parte dei paesi della zona, anche questo insediamento presenta stratificazioni di epoche successive che partono dall'epoca etrusca, fino all'età medioevale e rinascimentale


borgo di Pianiano
foto by canino.info

  La tradizione orale narra di una leggendaria regina etrusca, la cui tomba si troverebbe nel punto più alto da cui si vede l'abitato. 
Riguardo all'origine del nome, due sono le interpretazioni : secondo alcuni deriverebbe da Planum Dianae  che farebbe pensare ad un tempio dedicato a Diana,  oppure da un Planum Iani, ipotesi più verosimile, che sottintende una dedica a Giano.
Pianiano a partire dal 1223, si allea con Tuscania, fino al 1400, quando viene inglobato nei possedimenti della Famiglia Farnese. Nel 1600 , l'abitato era ormai spopolato a causa della malaria, con sole tredici famiglie  i terreni incolti e la macchia come unica fonte di sostentamento.
Nel 1757, per volontà del Governo Pontificio, il borgo torna a vivere, grazie all'emigrazione  albanese. Costrette dalla persecuzione dei Turchi 45 famiglie albanesi, dopo numerose peripezie ed un terribile viaggio a piedi fino a Canino,  vengono inviate a ripopolare Pianiano. Da Roma arriva infatti l'ordine di assegnare loro in enfiteusi perpetua, alcuni terreni incolti, un certo numero di animali ed attrezzature agricole. 










Disagi di ogni genere, malaria, scarso nutrimento, l'alloggio in capanne e grotte malsane, falcidiarono anche questa piccola comunità, che decise alla fine di abbandonare il luogo per trasferirsi nel Napoletano. La pessima accoglienza da parte della popolazione locale, li fece tornare a Pianiano il 23 marzo del 1761, dove però si trovarono a confrontarsi con i nuovi affittuari che erano subentrati e con gli abitanti di Cellere. Alla fine, le 24 famiglie superstiti finirono per disperdersi nei paesi circostanti nella ricerca di  condizioni di vita accettabili.
Oggi il  piccolo borgo e' visitato da molti turisti ed ospita iniziative culturali e promozionali, tra le quali mi piace segnalare Aldiladel Giardino, una mostra mercato florovivaistica arrivata ormai all'ottava edizione.
Le fotografie sono tratte dal sito di Aldila del Giardino.

sabato 28 giugno 2014

Presentazione del libro " Luna calante".

La nostra amica Franceca Della Bona, ha presentato presso  l'Enosteria "Ottava rima" di Sorano, il suo romanzo   "Luna calante - Storie di funghi, fichi e fuchi", edito dalla casa editrice  L'Erudita.

Francesca si presenta così : nata a Roma nel 1965, giornalista, vegetariana, animalista e, se è ancora possibile dirlo, comunista. Ha sei cani e vorrebbe aprire un ristorante vegetariano. Questo e' il suo primo romanzo.



 Il pomeriggio e' stato allietato dalla simpatia della scrittrice, dei presenti  e del sempre simpatico e disponibile  Nicola, proprietario di questo eccellente presidio slow food.





giovedì 26 giugno 2014

L’eremo di Poggio Conte ed i Cavalieri del Tempio. Di Alberico Marracino.

Ho ricevuto e  pubblico molto volentieri l'articolo dell'Avv. Alberico Marracino, che offre una   Interpretazione diversa da quelle scientifiche ufficiali sulla simbologia presente nell'eremo di Poggio Conte. Credo che questo studio possa essere un interessante spunto di discussione. Le fotografie ad integrazione del testo sono tratte da tesoridellazio.it.

La tesi della presenza templare a Poggio Conte è stata sostenuta dall’archeologo Giovanni Feo nel libro “Eremiti e Romitori di Maremma”, laddove egli ha acutamente osservato che le tredici nicchie presenti nella chiesetta, e che in origine ospitavano le pale di Gesù e degli apostoli, “furono chiaramente realizzate in una seconda fase, non al momento di fondazione della struttura originaria … infatti, per realizzare queste nicchie, è ben visibile come fosse stata sacrificata la volta affrescata e, in più, come venne malamente troncato anche un braccio scultoreo del lungo elemento serpentiforme che, in alto forma la crociera”.
Il Feo, dopo aver evidenziato che, eliminate le nicchie chiaramente posticce, la chiesetta non presenta altri simboli riconducibili al cristianesimo, per lo meno nel senso che comunemente si intende, ne ha concluso che, più che un eremo in senso tradizionale, Poggio Conte probabilmente aveva la funzione di stazione templare posta a ridosso della Via Clodia che collegava Roma a Saturnia.
In effetti, se si esaminano alcuni dei simboli e degli elementi presenti nella chiesetta di Poggio Conte, l’impronta dei Templari appare evidente e comprovata.
Va detto subito che questi simboli ed elementi hanno tutti la caratteristica di essere difficilmente comprensibili, e questo perchè i Templari volevano proprio che la loro simbologia restasse criptica e accessibile solo agli iniziati. Infatti, da quel poco che si sa sui Cavalieri del Tempio, sembra che questi monaci guerrieri si muovessero su piani diversi rispetto alle indicazioni scaturenti dai vangeli: esercitavano il culto di Giovanni Battista, non credevano alla crocifissione di Gesù né alla sua resurrezione, adoravano Maria, non la Madonna, ma Maria Maddalena che riconoscevano come moglie di Gesù nonché sacerdotessa. Inoltre, conoscevano ed applicavano la geometria sacra, la numerologia, l’architettura esoterica e perfino l’alchimia. Tutti profili che, se portati a conoscenza della Chiesa dell’epoca, avrebbero evidentemente determinato seri problemi per l’Ordine.
Quali prove ci sono, quindi, che attestino la presenza templare nella chiesetta di Poggio Conte?
Su una parte laterale della volta compaiono affreschi in due sezioni separate: in una sono rappresentati falli di diverso colore, nell’altra dei quadrilateri a forma quasi rombica, anch’essi colorati; secondo il Prof. Enrico Calzolari, si tratterebbe della simbologia sessuale maschile e femminile, in una sorta di dualismo applicato alla decorazione. Ebbene, il dualismo era alla base del credo templare, tant’è che esso prevedeva il culto di una figura ermafrodita proprio a rappresentare il dualismo uomo/donna - cielo/terra. Sempre secondo il Calzolari, le ondine colorate che appaiono in vari punti con funzione di decorazione rappresenterebbero flussi di energia.


Nella parte alta della volta compare una figura simile ad un quadrifoglio ma che, se guardata con la giusta inclinazione della testa, rappresenta una croce ancorata che fu la terza croce dell’Ordine adottata dopo il 1147 per diversificare la precedente da quella degli Ospedalieri da cui divergeva solo per il colore.

Sulla colonna sinistra dell’ingresso interno compare, in bella evidenza, un triangolo equilatero. Ve n’è un altro anche nell’attigua abitazione. Si tratta di un simbolo templare che rappresentava il numero tre. La numerologia era, come detto, un aspetto importante per i Cavalieri del Tempio, e John Charpentier, autore del libro “L’Ordine del Tempio”, ha osservato che: “Il triangolo compare in tutte le figure lasciateci dai Templari, e si rimane colpiti dalla loro predilezione per il numero 3, quel numero che, come ha scritto Joseph de Maistre, appare ovunque nel mondo fisico, come nel mondo morale e nelle cose divine. Al momento della sua ammissione, l’aspirante doveva presentarsi tre volte prima di essere accolto dal capitolo; faceva tre voti; i cavalieri prendevano tre pasti al giorno, mangiavano la carne tre volte alla settimana ed osservavano tre grandi digiuni durante l’anno; dovevano comunicarsi tre volte l’anno, durante le tre adorazioni della Croce; in tutte le commende o case dell’Ordine, l’elemosina si faceva tre volte alla settimana. Ogni templare aveva tre cavalli; aveva tre modi punire i colpevoli; quando erano messi in cella, venivano flagellati tre volte. Un templare doveva accettare di combattere solo contro tre avversari e doveva subire tre volte l’assalto del suo nemico del singolo combattimento, prima di attaccare e di iniziare, a sua volta, l’offensiva”. Anche il famosissimo architetto francese Eugene Emmanuel Viollet-le-Duc nella sua mastodontica opera “Dizionario ragionato dell’architettura” del 1854, ebbe ad osservare che “si sa che il triangolo equilatero era un segno adottato dai Templari… non va dimenticato che i fondatori dell’Ordine del Tempio erano in nove (tre al quadrato) e che i numeri tre e nove si ritrovano nelle cappelle delle commende”.



C’è, poi, lo stile evidentemente gotico dell’arco interno alla chiesetta. Secondo l’archeologa J. Raspi Serra, questo tipo di realizzazione non è riconducibile a modelli autoctoni ma si riporta ad elementi decorativi di tipo francese e di elevato grado culturale; in altri termini, il sito non può essere stato costruito dal semplice eremita locale ma alla realizzazione hanno preso parte persone francesi e particolarmente preparate. Ed i Templari, come noto, erano francesi. Inoltre, due importanti studiosi (William Anderson e Jean Boney) sostengono che la vera genesi dell’arte gotica sarebbe stata la cultura islamica, mentre un terzo studioso, Gordon Stracham, ha appurato che sarebbe stato proprio grazie al proficuo e continuo contatto con questa cultura avvenuto in Terra Santa, che i Templari avrebbero mediato l’arco a sesto acuto ed altri principi architettonici a base del gotico.
Infine, l’ultimo segno templare sembra potersi rilevare nella presenza del foro sopra l’ingresso e nella direzione della chiesetta rispetto ai punti cardinali; infatti, lo studioso Giovanni Tomassini, nella sua opera «Gli ultimi custodi del tesoro templare», ha precisato che “tutte le chiese costruite dai Templari hanno l’orientamento Est–Ovest, e ricevono la luce da una monofora aperta nell’abside”.


Del resto i Templari nella zona erano di casa. Secondo Claudia Cinquemani Dragoni lungo il Fiora, nella zona compresa tra Manciano e l’Abbadia di Vulci, quindi proprio a ridosso di Poggio Conte, “il transito era sorvegliato da milizie templari che riscuotevano il pedaggio da chi percorreva la maremma dalla costa verso la montagna”. Nella non lontana Sovana c’era un importante centro di comando templare (ed il portone del Duomo è un vero e proprio manifesto dell’Ordine), mentre i Cavalieri del Tempio erano certamente presenti anche nella vicinissima Valentano, dove costruirono la chiesa di “Sancta Maria ad Templum” (un nome che dice tutto) ancora oggi visibile anche se in stato di notevole degrado. Ma ancora più importante era il complesso templare di Castellaraldo nella vicina Marta, costituito da una chiesa (Santa Maria delle Grazie) e addirittura da un importante castello adibito anche a funzioni di sorveglianza della strada di collegamento tra l’Aurelia e la Cassia, sito recentemente restaurato e dove i Templari sono presenti ancora oggi con i loro riti e le loro celebrazioni! Se non ci credete, cliccate qui: http://www.angolohermes.com/Eventi/Marta/Castellaraldo.html

La terra ai "povaretti". Di Carlo Nanni.

Negli anni immediatamente seguenti alla fine della seconda guerra mondiale, per la maggior parte degli ischiani di parte "povaretta" si raggiunse il possesso di quella terra per cui i loro padri avevano tanto lottato inutilmente.
Terminata la guerra ci fù un'ultima invasione delle terre : "Nel quarantacinque, dopo la guerra d'adesso, ce fù l'invasione....E' durata dù anne. Il primm'anno c'rea proprio l'articolo del governo che se doveva 'nvade le terre 'ncolte ; doppo, 'l secondo anno, se fermorono; già misero su la legge che nun se poteva più 'nvade. Se gnuno annava al sù proprio posto, bene, se nò...vinnero condannate! ".
Sorsero varie cooperative : quella detta "Castrense" nel 1947; la sezione locale della cooperativa "Reduci e Combattenti"; i bifolchi riuniti nella "Girasole"; la Cooperativa "La Spiga".

impianto dei poderi dell'Ente Maremma
foto archivioluce.com
Finalmente, con la legge stralcio del 1951 per la riforma fondiaria, l'Ente Maremma, espropriati i due latifondi che ancora rimanevano integri ( Pianetto e Selvicciola , di proprietà Bocci e Torlonia ), li distribuì tra i nullatenenti o meno abbienti in successive lottizzazioni tra il 1952 e il 1958, dotando ciascun assegnatario di casa colonica, di attrezzature e bestiame agricolo per avviare la conduzione in proprio delle aziende.

assegnazione delle terre
Queste acquisizioni di terre assegnate o comprate con sussidio statale non furono senza strascichi e dissidi interni. Molti si credettero ingiustamente esclusi, altri avevano paura che non si facesse nulla o che non venisssero ammessi a partecipare all'assegnazione. Soprattutto i piccoli bifolchi liberi, che con stenti erano riusciti o da soli o in cooperativa a farsi il loro appezzamento di terreno, comperandolo di ntasca propria da privati, si credettero giocati dalla sorte e trattati ingiustamente dal governo perchè esclusi.

famiglia assegnataria di un casale
Indubbiamente, anche se le cooperative non resistettero a lungo, il grande latifondo e il suo sistema dominativo finì e pressochè tutti gli ischiani ebbero al loro proprietà, potendo finalmene essere imprenditoi liberi della loro sussistenza economica. A coronamento di ciò, nel 1954, veniva costituito il Consorzio Agrario Provinciale.

mercoledì 25 giugno 2014

Il poro poeta : il poeta Giuseppe Valentini. Carlo Nanni.

A memoria d'uomo, a Ischia, poetare era ed è stata una ricca e significativa tradizione. I vecchi ne ricordano molti. C'erano famiglie che vantavano molti poeti, più o meno di vaglia, nella loro parentela : ma tra tutti per eccellenza il più ricordato fù Giuseppe Valentini ( 1866-1948); ancora oggi per indicarlo gli anziani lo nominano semplicemente come il "poro poeta" ( dove poro indica semplicemente lo stato di defunto ).
Oemai vecchio, a chi lo sfidava al canto, era solito dire :
" Al pari si. Ma avanti non si passa
fino a che non sarò dentro la cassa".
Aveva fatto pochi giorni della prima elementare. Imparò tuttavia a leggere. In quanto a scrivere sapeva fare soltanto la propria firma e questa con mano incerta. Dettava le sue poesie alla moglie, molte delle quali sono andate perdute. Pezzi disparati sono ancora citati a memoria da molti anziani. Qualche anno prima di morire ne dettò varie al figlio Giovanni che le ha poi divulgate in una raccolta dattilodcritta datata al 1975. La raccolta è introvabile. 

martedì 24 giugno 2014

George Dennis e le prime ricerche erudite.

George Dennis fu un diplomatico ed esploratore britannico, noto soprattutto per le sue importanti scoperte archeologiche nel territorio dell'Etruria.

George Dennis.

Egli fù un viaggiatore,  appassionato della topografia e dell'archeologia, tra i primi a percorrere il territorio della maremma castrense già durante i suoi viaggi negli anni 1842-1847. Quando arrivò ad Ischia di Castro, ne riconobbe le origini etrusche dalle numerose tombe che vide sui costoni circostanti, anche se tutte riutilizzate e trasformate. Scrisse un trattato  nel quale,  scrisse  delle precedenti ricerche compiute anni prima da Campanari di Tuscania, di alcune interessanti  emergenze come quella di Piansano oltre ad   annotazioni e testimonianze della vita di tutti i giorni negli allora minuscoli paesi di Ischia di Castro e di Farnese. 


Ischia di Castro (VT)


Farnese (VT)

Incuriosito dai racconti della gente del luogo visitò le rovine di Castro, lasciandone  poi una descrizione romantica ed allo stesso tempo orrifica : ".... uno dei (luoghi) più lugubri che ricordo in Etruria " ; e "....in nessuna località il passato oscura lo spirito con più profondo terrore ". Sulla base del nome e della teoria di Cluverio, ritenne che Castro fosse un sito di origine romana e formulò, comunque con riserva, la teoria che si trattasse dell'antica Statonia


rovine di Castro (VT)

Riguardo a Valentano, data l'assenza di tracce antiche  , confutò la teoria di I. Canina,  allora in voga,  che si trattasse del Fanum Volumnae , mentre,  dirigendosi verso Pitigliano, vide il Lago di Mezzano che identificò con il Lacus Statoniensis.

lunedì 23 giugno 2014

La chiesa di S. Pantaleo nella Selva del Lamone ( Farnese - VT).

Le rovine della chiesa di S. Pantaleo, si trovano all'interno della Selva del Lamone, in prossimità della Località " I Casali ". Per raggiungerla, si deve superare una vasta radura chiamata Campo della Villa e seguire il sentiero  e la cartellonistica del parco. In questa località è segnalata anche la presenza di una villa rustica di epoca romana e di abitato fortificato medioevale. 

Ale rovine di S. Pantaleo
foto by europeanvirtualmuseum.it
Le prime notizie di Campo della Villa si hanno grazie ad un atto  del 1030, con il  quale i proprietari, Gherardo ed Ermengarda, lo donano al convento di S. Colombano. La cappella di S. Pantaleo viene invece nominata per la prima volta nel privilegio di Leone IX del 1053 al vescovo di Castro Ottone. Dal confronto con gli altri edifici di culto presenti nel territorio la chiesa viene datata nell'XI-XII secolo. Si trattava di un achiesa ad aula unica con abside realizzato con blocchi squadrati di tufo e murature in ciottoli e pietra lavica del Lamone per quanto riguarda la navata. 
La piccola chiesa aveva dimensioni limitate ( ml. 10 x 5,70) e presentava all'interno una divisione degli spazi : la navata era separata dal presbiterio da una balaustra costituita da una doppia fila di blocchi di tufo  e da alcuni gradini. Un muro di tufo separava anche il presbiterio dall'abside.
Il pavimento che era posto su tre livelli sfalsati, è costituito da grosse scaglie irregolari di arenaria per la navata, da blocchi squadrati di tufo per il presbiterio e travertino per l'abside. 


domenica 22 giugno 2014

Archeoastronomia. Il solstizio di inverno a Poggio Rota.

L'archeoastronomia e' la scienza che studia i reperti archeologici che ci tramandano il ricordo dell'attività di osservazione e studio dei corpi celesti portata avanti da individui appartenenti alle culture antiche.
L' osservazione del cielo   rivesti'un ruolo di primaria importanza presso le antiche popolazioni, ancor prima della formazione di vere e proprie civiltà. La celebrazione del solstizio d'inverno era una pratica diffusa in tutta Europa poiché era vista come il momento della rinascita del Sole e della Madre Terra che, dopo il periodo del freddo e delle tenebre, si preparava al tempo della luce ed dell'abbondanza.
In agricoltura, questo coincideva con la previsione dei tempi delle futura semina, che presso le antiche culture avveniva in primavera, in modo da poter avere il raccolto prima dell'inizio del successivo inverno.
Le feste del solstizio rappresentavano in pratica, la vittoria del Sole sulle tenebre in quanto questo, inverte il moto apparente dei suoi punti di vista al sorgere ed al tramonto sia all'orizzonte astronomico che a quello naturale locale, descrivendo giorno dopo giorno archi apparenti sempre più ampi sulla sfera celeste, i quali culmineranno con la massima altezza al successivo solstizio d'estate. Erano i quindi sacerdoti che presso le varie culture, a seguito di osservazioni astronomiche , prevedevano la data per favorire le celebrazioni delle feste e dei riti propiziatori del solstizio .

Planimetria con gli allineamenti più significatici
foto by www.duepassinelmistero

 A Poggio Rota questo fu' possibile intorno al 2300 a.C., grazie alle osservazioni del tramonto del Sole attraverso una fenditura appositamente realizzata su un monolito.
Al solstizio d'inverno, il Sole raggiunge la sua minima declinazione , pari a -23.5 gradi. Questa e' la ragione per cui le giornate sono molto corte e le notti molto lunghe. Per gli antichi questo era il momento drammatico, durante il quale la natura era come sospesa in una morte simbolica. Morte del Sole e della luce che erano considerate divinità fecondatrici, apportatrici di calore e quindi di vita e di benessere.

la fenditura dalla quale i sacerdoti osservavano
il moto solare
 Il giorno del solstizio d'inverno rappresentava dunque un'inversione di tendenza, il momento nel quale il Dio Sole tornava a crescere ed a manifestare di nuovo il suo potere. Questo periodo dell'anno veniva quindi festeggiato con grandi fuochi ad illuminare la notte, per incoraggiare il ritorno della luce, e con essa della vita e della fertilità. In particolare a Poggio Rota era possibile seguire il moto apparente del Sole già un mese prima del solstizio, in modo da poter preparare per tempo i riti e le celebrazioni.

sabato 21 giugno 2014

Escursione a Poggio dell'Ovo e a Poggio Rota.

Interessante escursione ai siti arcaici di Poggio dell'Ovo nel comune di Sorano e di Poggio Rota nel comune di Pitigliano. La giornata e' iniziata con la visita di Poggio dell'Ovo, un sito archeologico posto su un costone  tufaceo dal quale si gode un meraviglioso panorama. Il sito datato all'epoca della civiltà del Rinaldone, si ritiene legato al culto della Dea Madre

Poggio dell"Ovo 

riflessioni 
Abbiamo notato sulla roccia delle evidenti lavorazioni fa le quali spicca un altare, una vasca rituale scolpita con una sagoma che ricorda quella della Dea, puntatori astronomici a numerosissime coppelle che richiamano la volta celeste con le stelle ed i pianeti.

i cani di Dominique si interessano alla
vasca della Dea Madre

vasca della Dea Madre

altare

nicchia scavata dietro l"altare

Sorano visto da San Rocco
Dopo una veloce puntata a Sorano ed una sosta nell'area di San Rocco, il gruppo si è diretto verso Pitigliano per poi raggiungere Poggio Rota e più precisamente il sito archeologico risalente al 2.500 a.C., noto come la Stonehenge italiana. Si tratta di una postazione astronomica ricavata dallo scavo di  un blocco di tufo, che ha lasciato un circolo di monoliti alti circa cinque metri, nel quale furono stabiliti almeno due allineamenti astronomicamente significativi : uno che riguarda la direzione del Polo Nord ed uno secondo la direzione del tramonto del sole al solstizio d'inverno attraverso fenditure scavate artificialmente.

i monoliti di Poggio Rota

dimensioni

divergenti teorie

il giusto riposo

puntatore Polo Nord

puntatore sul tramonto del sole
al solstizio di inverno
Dopo essersi abbeverati alla fonte della scienza e dell'archeoastronomia, il povero, assetato, accaldato gruppo si è' diretto verso il vicino  fiume Fiora per un rigenerante bagno.

giovedì 19 giugno 2014

Necropoli etrusche di Castro. la tomba del tetto disluviato. Di Anna Laura.

Nel VII secolo a.C., secondo la diffusa ideologia che vede nella tomba la casa dove il defunto avrebbe continuato a vivere, si sviluppa un modello architettonico imitante l'abitazione. Le  forme architettoniche sono maestose, rigonfie, in sintonia con il gusto ionico dell'epoca.

necropoli di castro
tomba a casa
All'interno la tomba è simile ad una camera con finte porte che allargano visivamente la planimetria, il pilastro portante spesso centrale ( columen ) e travi laterali, incisi a rilievo nella roccia, imitanti l'intreccio dei pali lignei nel soffitto ( mutuli ). La stessa ideologia è presente all'esterno dell'edificio. La tomba a tetto disluviato, o " a casa", è una diramazione della più impiegata tomba "a dado. In comune ha il corpo quadrangolare decorato da cornici; se ne discosta per il coronamento che ricorda il tetto di una casa.
Si trova dio fronte alla chiesetta del Crocefisso di Castro. L'aspetto è monumentale, costruita su un basamento formato da blocchi di tufo disposti in giunti simmetrici ( isodomi ), che poggiano su un basamento modanato ( toro ) composto da filari, il primo con blocchi tufacei e il secondo con blocchi più piccoli, in nefro giallo-rosato.  Il restante alzato è in tufo. Un'intercapedine isola il monumento dalla roccia retrostante, dove sono ricavate canalette per il naturale deflusso delle acque meteoriche.
Il tetto doveva essere disluviato, decorato da due protomi di animali, un leone e un ariete, eseguiti a tutto tondo, poste agli angoli degli spioventi, a guisa di acroteri o gocciolatoi.

leone

ariete
La tomba internamente è composta da da tre camere, la centrale con columen a rilievo. Disposte lungo le pareti si trovano le banchine Sono presenti quattro porte, due introducono alla camera centrale.  Le sculture vengono datate tra il secondo quarto-metà del VI secolo a.C. in particolare un leone in nefro rosa, reso plasticamente con le orecchie chiuse e il muso digrignante.
La scultura, per la resa della criniera e del muso con le fauci spalancate, è ascrivibile ad un'officina operante a Vulci. Confronti nei modelli culturali si sono ravvisati a Tuscania con la tomba a casa della necropoli della Peschiera e con la tomba  a casa con portico nella necropoli di Pian di Mola.

mercoledì 18 giugno 2014

Siti arcaici : Poggio dell'Ovo e Poggio Rota.

L'Associazione culturale i Lentischi, ha organizzato nella giornata di sabato 21 giugno un'escursione nei siti arcaici di Poggio dell'Ovo e Poggio Rota. Per le persone che vorranno partecipare, ed anche per chi non potrà intervenire, credo sia interessante fornire qualche informazione sui luoghi che andremo a visitare.
Poggio dell'Ovo.
Poggio dell'Ovo è uno sperone diroccia tufacea che si trova , separato dal fiume Lente, di fronte al paese di Sorano, in provincia di Grosseto, sul cui apice, si trova un pianoro disseminato di tracce antropiche.

Sorano visto da Poggio dell'Ovo.
Tali  manufatti, sono stati assimilati ad altri trovati nel territorio e quindi datati approssimatamente all'epoca arcaica. I manufatti, trai quali  delle "coppelle", sono allineati in modo da far pensare che la loro posizione fosse funzionale a cerimonie legate ai solstizi o all'allineamento dei pianeti.

puntatore astronomico
A fianco del "solium" si trova un avasca che potrebbe essere legata a riti matrimoniali o riferimenti al parto.

Vasca
Poggio Rota.
Poggio Rota si trova invece nel Comune di Pitigliano, anch'esso nella Provincia di Grosseto. E'costituito da un circolo di pietre naturali di origine tufacea costellati da fori dovuti sia al raffreddamento originale della pietra vulcanica, sia da tracce di lavorazione e lisciatura di origine antropica.

Poggio Rota
fenditura nella roccia
fori nei monoliti

 La presenza di un puntatore astronomico allineato sul Polo Nord celeste e di un allineamento secondo la direzione di tramonto del Sole al solstizio d'inverno, attraverso una fenditura, fanno sospettare che il sito possa essere stato un antico luogo sacro e/o di osservazione astronomica.

martedì 17 giugno 2014

La vita dei campi. I bifolchi. Brano tratto da Ischia di Castro di Carlo Nanni.

 I bifolchi ai margini del latifondo e i villani vicini al paese.
Ai margini del latifondo si svolgeva la vita dei liberi bifolchi la cui unica proprietà era uno o qualche paio di vacche maremmane da lavoro e qualche cavalcatura per coprire le distanze della loro vita nomade , sempre affamati di terra da seminare e sempre alla ricerca di pascolo per il loro bestiame.

aratura
In genere si creavano gruppi spontanei, sulla base di parentela o di antichi legami di amicizia tra famiglie o per cameratismo nato nella vicinanza e comunanaza  di lavoro , o per necessità di farsi forti presso i padroni delle terre che avevano a semente. Anch'essi vivevano la quasi totalità dell'anno lontano dalla famiglia e dal paese , soprattutto nei momenti forti del ciclo annuale del grano.
La loro dimora era allora il carro,su cui si portavano gli attrezzi da lavoro o il poco grano alla semina o al raccolto; oppure nel migliore dei casi , un casale abbandonato o una capanna per lo più a forma rettangolare , costruita prima che iniziassero mi lavori  della semina.

il carro simbolo della vita nomade
Alle prima ore del nuovo giorno si scioglievano le bestie e si portavano a pascolare nei magri campi vicini . La preoccupazione per le bestie, affaticate dal lavoro tutto il giorno, faceva si che spesso il bifolco nottempo cercasse di far satollare gli animali nei prati custoditi delle tenute del latifondo ( portare le bestie a ratto ).

le capanne costruite vicino al luogo di lavoro
Era caratteristica dei liberi bifolchi una solidarietà interna, che si manifestava non solo nell'aiuto reciproco nelle difficoltà di lavoro, ma anche nella formazione di una mentalità comune. In essa l'orgoglio della loro condizione di non dover dipendere da nessuno, si accoppiava al disprezzo per ogni categoria di persone che vivesse alle spalle dei "signori", considerati per questo baciapile ( leccaculi ) , e in particolare per i guardiani.

il gruppo
Ma un uguale disprezzo essi avevano per i villani. Costoro per lo più chiusi in gruppi di famiglie patriarcali vivevano nei piccoli appezzamenti di terra a coltivazione mista ( a vigna, oliveti e ortaggi o a grano ), posti nelle vicinanze del paese, oppure prestando servizi ai benestanti. I villani nella mente dei bifolchi erano troppo gretti ( 'gnoranti) e tranquilli, troppo legati alle tradizioni, e alle forme religiose. D'altra parte ne venivano ricambiati, venendo a loro volta considerati gente che viveva sempre all'avventura, "di ratto", senza pace e riposo. In vista del matrimonio i bifolchi dotavano i figli o le figlie di almeno un capo di bestiame vaccino : così la nuova famiglia iniziava con il "paro" di vacche ( una vacca da parte dell'uomo, una da parte della donna).


lunedì 16 giugno 2014

I butteri maremmani.

Il nome buttero deriva dal latino " boum-ductor" che  significa conducente di buoi , o dal greco bùteros con "bus" che significa bue e "toros" che significa pungolo.

La Merca in un quadro di Giovanni Fattori
I butteri sono i pastori a cavallo, ed il loro lavoro consiste nel controllare grandi mandrie di oltre 500 capi di vacche e tori maremmani allo stato brado ed oltre 120 cavalli. I latifondi erano costituiti da grandi aziende agricole divise per funzione :  del campo e del bestiame. L'azienda del bestiame aveva a capo il Massaro alle diperndenze del quale erano i butteri in numero di 3,6,7 a seconda delle dimensioni dell'allevamento.

Butteri con le donne alla fonte
foto by romasparita.com
Il durissimo lavoro del buttero si svolgeva negli intrichi delle scopaie, tra i miasmi degli acquitrini e nelle macchie popolate dai cinghiali, esposti al torrido clima estivo o ai freddi venti invernali. Ogni buttero disponeva di 3 o 4 cavalli ed  iniziava il lavoro quando ancora era buio con il controllo deì gruppi di bestiame in cui era diviso l'allevamento. Si contavano i capi e ci si accertava del loro stato di salute con particolare attenzione ai vitelli, si controllavano le recinzioni e  gli abbeveratoi.

buttero
foto by romasparita.com
Nei vari periodi dell'anno i butteri si occupavano della nascita dei puledri e dei vitelli, delle monte brade dei tori e degli stalloni, del controllo e della separazione delle vacche prossime al parto e poi di quelle "figliate". Tutti i vitelli dovevano essere annotati sui registri segnandovi anche i segni caratteristici. All'inizio di aprile veniva effettuato lo scarto delle vacche vecchie non più adatte all ariproduzione o non più in grado di sopportare la vita allo stato brado. Infine a maggio veniva effettuata la Merca. Questa consisteva nella conduzione delle mandrie in un grande recinto, dal quale i singoli animali venivano separati dal gruppo  e condotti nel "tondino" o se necessario nello "strettoio" per la marchiatura.La marchiatura dei bovini e dei cavalli rappresentva il momento più gioioso per l'azienda e per il proprietario che poteva mostrare la bellezza dei capi e la bravura dei suoi butteri.

la marchiatura
foto by romasparita.com
Altra fase  importante nel lavoro del buttero era costituita dalla doma dei puledri. Il puledro veniva addestrato in più fasi, abituandolo prograssivamente all'addestramento alla corda, all'insellaggio ed infine, grazie anche alla presenza di un cavallo anziano e tranquillo detto "marrone", il buttero saliva in sella. A questo punto iniziava il vero e prorpio addestramento dell'animale che durava per  alcuni mesi.

foto by romasparita.com
La figura del buttero rimane comunque legata alla data dell'8 marzo 1890, quando avvenne la sfida tra i cowboys del circo equestre "Wild West Show" dell'eroe del West Buffalo Bill ed i butteri del Duca Onorato Caetani di Sermoneta. Il confronto avvenne nella doma di puledri e bufali e fù vinto dai butteri maremmani anche se Buffalo Bill non accettò la sconfitta, levò le tende del suo circo e non accettò di pagare il premio stabilito per i vincitori.

Buffalo Bill e i butteri
foto by equitando.com
Oggi gli ultimi butteri lavorano nell'Azienda Regionale Agricola di Alberese che occupa circa il 40% del territorio del Parco Naturale Regionale della Maremma ed il loro lavoro può ancora essere osservato nel corso dei vari concorsi ippici nei quali si sfidano in gare con il lazzo dando prova delle loro abilità.