lunedì 22 dicembre 2014

L'abbandono ed il fascino delle rovine di Castro (Ischia di Castro - VT ).

Il visitatore che per la prima volta entra in Castro,, si divide tra un sentimento di meraviglia per ciò che vede e di sgomento per l'incuria  alla quale un tale tesoro viene abbandonato. Sembra quasi che il tempo si sia fermato a quando, nell'Ottocento, i primi grandi viaggiatori, dal nord Europa compivano l'allora tradizionale Grand Tour alla scoperta dei nostri tesori archeologici ed artistici.
Trovo quindi appropriato , per chi non conoscesse il sito, riproporre  la descrizione che il viaggiatore , scrittore ed archeologo inglese George Dennis fece di Castro un paio di secoli fa'.

George Dennis
" Due o tre miglia a ponente di Farnese e' Castro, altra località etrusca. Il sentiero che conduce a Castro passa tra burroni, ed in un tratto, scavata un'altura il declivio della quale apre la via dal fondo alla cima e' disseminata di enormi massi di lava. Castro giace nella solitudine ; e' una città di desolazione.

i burroni sulla valle dell"Olpeta
Si ascende dal burrone alla pianura e si vede davanti un folto bosco che copre una piccola altura in mezzo ad irti precipizi. Si entra nel bosco non per camminare sopra soffice tappeto di foglie cadute ma per arrampicarsi sopra cumuli di rovine, di colonne spezzate, di capitelli e di ricchi cornicioni misti a detriti più rudi attraverso i quali si è sviluppata la vegetazione che, da parte sua, fa del tutto per occultare le reliquie di opere d'arte. 

uno dei fregi di S.Savino

Duecento anni fa' Castro era una città fiorente, capitale di un ducato che comprendeva parte della regione etrusca e che tuttora da' un titolo al Re di Napoli. Ma nell'anno 1649 Papa Innocenzo X la rase al suolo.

uno degli affreschi di S.Maria
Lasciai Castro con una certa delusione non perché non fosse stata degna di visita ma perché le mie aspettative erano molto superiori ed io cercai invano più numerose ed interessanti reliquie dell'era etrusca".

sabato 20 dicembre 2014

Storia di Vulcenti, Romani e Saraceni. Tratta da "Memorie storiche della distrutta città di Castro" di D.Eraclio Stendardi.

"Narrasti in una Cronaca che gli abitanti di Vulci avevano riportata una grandissima vittoria contro i Saraceni al porto delle Murelle (sotto Montalto ) ed entusiasti della vittoria riportata discutevano se era stato prudente l'aver lasciato la città senza difesa giàcche' gli uomini validi erano scesi contro il nemico lasciando l'inerme popolazione invalida in pericolo, perché se avessero vinto i Saraceni non avrebbero saputo ne' potuto difendersi. E per questo vi fu un vivo ed animato contrasto tanto che per decidere da quale parte fosse la ragione si decise di fare una prova.
Furono prese le insegne tolte al nemico, furono indossate le vesti dei Saraceni e con sughero bruciato si tinsero di nero il viso. E giunti alle porte della città mandarono a dire che il Re dei Saraceni aveva fatto prigioniero tutto l'esercito e che avrebbe loro salvata la vita se avessero resa a discrezione la città.


I Vulciani risposero fieramente e con impeto si scagliarono sul creduto nemico. La zuffa fu accanita con grande carneficina. Vennero a saperlo i Romani ed approfittarono per assalire i Vulciani ormai indeboliti, li sconfissero e raserò al suolo la città. 
Questo episodio e' riportato dalla Cronaca attribuita al Beato Bernardo giustamente ritenuta apocrifa e quindi non attendibile. L'abbiamo voluta riportare per integrità di storia".

venerdì 12 dicembre 2014

Le ricette di natale di Maria Assunta Scarino. Il pan nociato.

Di questi dolci non esistono dosi precise perché gli ingredienti variavano per quantità a seconda della disponibilità rischiando, alcuni, di essere omessi
Ingredienti : circa mezzo chilo di pasta del pane ; un po' di farina ; cento grammi di gherigli di noce; un pugno di mandorle filettate ; un po' di uvetta ; fichi secchi a pezzetti ; un uovo ; cento grammi di zucchero ; cannella.
Unite tutto alla pasta, suddividete in piccoli filoncini e fate lievitare al caldo ; dorate li a piacere spennellandoli con uovo o latte e incornate a temperatura media. Servite lo affettato sottilmente.


giovedì 11 dicembre 2014

L'Osteria , cuore pulsante della Latera di un tempo.

Latera era la porta che dallo Stato Pontificio portava in Maremma ed anticamente la zona più viva dell'intero abitato era quella situata nella parte bassa, all'inizio del borgo, che ancora conserva il nome di "Osteria". Li si trovava la locanda dove si fermavano forestieri e viaggiatori che andavano o tornavano dalla Maremma e dove andavano i paesani a bere un bicchiere di vino e a passare il tempo libero dai lavori nei campi.


L'Osteria, a fianco della chiesa di S.Pietro e subito prima dell'omonima porta, era di proprietà del comune e compariva già nello statuto del 1479 insieme alle disposizioni che venivano impartite all'oste che se ne aggiudicava l'affitto ed acquisiva il diritto di vendere il vino, di alloggiare e di amministrare il vitto si forestieri.
Il piano terra era composto da due grandi vani comunicanti tra loro che venivano usati come stalla per gli asini, i muli ed i cavalli dei forestieri ; al primo piano c'era la cucina, un vano per mangiare e due stanze per dormire. C'era poi un secondo piano dove si trovavano le cosiddette " stanze del Commissario" probabilmente riservate ai notai, commissari o personalità che arrivavano a Latera per questioni d'ufficio. Faceva parte dell"Osteria, ma fuori dalla Porta, un'area recintata che alloggiava il bestiame di passaggio o gli animali che le guardie trovavano a provocar danni nelle proprietà private.




Il periodo di maggior importanza per l'Osteria, iniziò a partire dal 1639, quando il duca Pietro Farnese istituì la Fiera di Merci e Bestiame e fece costruire nel 1646 una lunga vasca in muratura per abbeverare il bestiame, conosciuta ancora oggi come "Fontana del'Osteria".
Attualmente non esiste alcuna traccia ne' della porta ne' dell'Osteria ed al suo posto c'è' un edificio recentemente destinato dal comune all'ampliamento del Museo della terra.

martedì 9 dicembre 2014

La chiesa di Santa Maria della Neve ad Ischia di Castro (VT).

Alla fine Via di Cellere, su un piccolo costone di tufo, una chiesa di campagna guarda dall'alto il paese di Ischia di Castro. Nel 2014 sono entrato per la prima volta nella chiesa di S.Maria della Neve e l'ho trovata in uno stato di grave abbandono, con infiltrazioni che dal tetto e dal pavimento stanno compromettendo intonaci, stucchi ed affreschi. Il post che pubblicai allora si concludeva con la speranza che in qualche modo si intervenisse per  salvare questa piccola chiesa e quindi lo ripropongo oggi rinnovando lo stesso augurio.

"Narra la leggenda che la notte del 4 agosto del 352 d.C., Giovanni, un ricco patrizio, avrebbe visto la Madonna che gli chiedeva di costruire una basilica nel luogo dove, il mattino seguente, avrebbe trovato della neve fresca. Giovanni si recò dal Papa Liberio per raccontargli di questo suo incontro ed il Pontefice , gli confessò di avere avuto la stessa visione.
Nel frattempo il prodigio si era avverato e per ordine di Liberio venne tracciata sul posto la pianta di una grande basilica che Giovanni finanziò e che prese il nome di S. Maria della Neve, l'attuale S. Maria Maggiore.
Anche ad Ischia di Castro, nel suo piccolo, venne realizzate appena fuori dal paese, una chiesetta legata al culto della Madonna della Neve, oggi raramente usata ed abbandonata al degrado. Il luogo di culto, comunemente conosciuto come la Madonnella, è una chiesa a pianta rettangolare, con il soffitto a volta ed un altare adornato da stucchi barocchi.

Ischia di Castro vista da S. Maria della Neve
il portale di ingresso
particolare del tetto fatiscente
la navata unica e l'altare barocco
la nicchia con l'immagine sacra e
le tracce di culto
il giglio farnesiano in un
particolare dell'altare
il vergognoso stato della sagrestia
particolare della sagrestia
la Madonne della Neve
Dietro l'altare due porte immettono nella sagrestia scavata nella roccia, nella quale sono state ammassate panche e suppellettili varie. Anche se la chiesa non è quasi più usata, in una nicchia un'immagine di Cristo e vari lumini e fiori fanno pensare ad una frequentazione quasi clandestina ma costante nel tempo.

l'umidità e le infiltrazioni provenienti dal tetto
il pavimento della chiesa

Oggi ho voluto postare  le fotografie di questa chiesetta abbandonata e quindi  destinata quindi ad una fine ingloriosa quanto immeritata, nella speranza che invece  possa essere in qualche modo recuperata" .

domenica 7 dicembre 2014

La Madonna del Giglio ad Ischia di Castro (VT). Di Carlo Nanni.

Il santuario e' situato all'inizio della valle sottostante il centro abitato, dove c'è una fonte che alimenta il fosso San Paolo. Se ne ignora la data di fondazione. La leggenda rimanda all'apparizione della Vergine ad un pastore.




Il titolo e i gigli farnesiani affrescati fanno pensare ad un patrocinio della famiglia Farnese , che potrebbe aver voluto la prima costruzione verso la metà del secolo XV. La sua esistenza e' documentata da una visita pastorale del Vescovo di Castro del 1478. Essa doveva corrispondere al piccolo vano che racchiude l'affresco, con la sacra immagine della Vergine, risalente ai primi decenni del 400, con una scena di resurrezione nel registro inferiore ( datata 1480 ; l'ultimo numero e' però illeggibile ). Dello stesso periodo o di poco successiva e' la parte sovrastante la nicchia con volta a crociera, nella cui parete di fondo e' raffigurata una crocifissione ad affresco con evidenti motivi di scuola umbra-viterbese ascrivibile alla fine del XV secolo.







La fase più recente e' costituita dalla parte più avanzata della chiesa, con copertura a vista , sorretta da arcate simili a quelle della ricostruzione cinquecentesca di San Rocco e a quelle della Rocca. L'insieme e' a navata unica, completamente aperta nella parete d'entrata. È recintata da una cancellata in ferro battuto ( che ha sostituito quella precedente in legno), proveniente dalla Basilica del Sacro Cuore di Roma.

venerdì 5 dicembre 2014

Le ricette di Natale. Viaggio nella civiltà contadina. Maria Assunta Scarino.

Il pranzo di Natale prevedeva minestra in brodo di cappone accompagnata dal lesso con contorno di gobbi ripassati in padella o insalata. Se c'erano uova a sufficienza la minestra veniva sostituita con fettuccine al sugo di rigaglie e il cappone fatto arrosto.
Fettuccine con sugo di rigaglie.
Preparerete le classiche fettuccine con uova fresche e già che ci siete, tagliate una piccola parte di lasagna a tagliolini per il brodo.
Oggi le fettuccine si possono preparare in tutti i periodi dell'anno poiché le uova si comprano al supermercato e le galline di allevamento le depongono in ogni stagione. Durante la mia infanzia invece , raramente a Natale si avevano le uova ; le galline durante il periodo freddo "facevano festa" , smettevano cioè di deporre. Per il pranzo di Natale si doveva quindi optare quasi sempre per la minestra in brodo di cappone.


Preparate il sugo con le rigaglie di cappone. Se avete un cappone casereccio pulite  l'intestino spaccando con le forbici il budello sotto l'acqua corrente, strofinandolo con una grossa manciata di sale fino e sciacquandolo infine con aceto tiepido. Lavate l'intestino  e fattelo a pezzetti come le altre interiora. Unite  le zampe spellate e ripulite dalle unghie e fate un bel soffritto , aggiungendo una cipolla steccata con un chiodo di garofano , una carota, una costa di sedano, un pugno di sale grosso e, quando tutto e' ben rosolato, sfumate con un vino bianco asciutto. Aggiungete passata di pomodoro e fate bollire adagio. Il sugo sarà pronto quando coprirà con un velo denso il dorso della mescola e borbotterà rumorosamente al sobbollire.

martedì 2 dicembre 2014

Domenico Tiburzi ed i suoi legami con l'Associazione Castrense.

Da uno scritto di Angelo La Bella pubblicato nel libro "Un aspetto del Risorgimento viterbese - L'Associazione Castrense del 1848 - 1849", emerge il legame che Domenico Tiburzi ed un gruppo di butteri e zappaterra ebbero con l'associazione. L'adesione si desume da un documento ufficiale che il comandante della gendarmeria generale di Viterbo inviò al Procuratore Fiscale il 16 gennaio 1867. Nel documento veniva proposto l'arresto e la perquisizione delle case degli indiziati nelle quali si riteneva che fossero nascoste armi e materiale rivoluzionario. 

foto by canino.info
Tutto  questo avveniva però  in un periodo segnato dalla guerra garibaldina, fatta di sconfinamenti, tumulti, scontri a fuoco e battaglie campali che distrassero le autorità dal perseguire il futuro brigante ed i suoi compagni di Cellere. Sembra  probabile, che a reclutare il gruppo, sia stato Francesco Mazzariggi, tra i fondatori dell'Associazione Castrense, che dopo l'Unità d'Italia divenne sindaco di Cellere e che alla sua morte donò tutti i suoi beni al popolo del suo paese. 
Domenico Tiburzi fu quindi, prima di compiere l'omicidio del guardiano dei Marchesi Guglielmi di Montalto il 24 ottobre 1867 che segnò il suo destino,  un patriota promulgatore degli ideali dell'Associazione Castrense. 

lunedì 1 dicembre 2014

Viaggio nella civiltà contadina. I contratti di mezzadria.#1

Maria Assunta Scarcino era una scrittrice nata in un piccolo paese della Tuscia, appassionata delle tradizioni della sua terra che studiò e divulgò, anche se poi la vita la portò a vivere in luoghi diversi e lontani. Descrivendo la sua vita da giovane ci parla di quella che fù l'esistenza della  maggior parte delle persone che abitarono questi territori fino a qualche decennio fà. Oggi tratto dal suo libro "Viaggio nella civiltà contadina. Pane e companatico ", traggo un brano che ci descrive la condizione del colono-mezzadro.
Il contratto.
"Il podere veniva affidato alla conduzione di un contadino con contratto di colono-mezzadro. Il contratto veniva stipulato dalla famiglia che abitava la casa colonica posta all'interno del podere e che doveva curare al meglio i terreni affidatigli e allevare gli animali che su tali terreni e con tale produzione potevano sopravvivere.

foto by tenutalizzzanfi.it
I raccolti, così come ogni altro prodotto degli animali, venivano divisi a metà con il "padrone"; inoltre venivano pagati gli "obblighi" riguardo le "piccole cose"; nel nostro caso, dodici capponi e quattro gallustri per Natale, cento uova per Pasqua, una gallina per carnevale, la ricotta due volte la settimana, almeno un cesto di ogni frutto prodotto.

foto by ilpalio.org
Venivano divisi a metà : grano, olive, uva, patate, fagioli, formaggio e macellati : un agnello ciascuno ( padrone-contadino) a Pasqua e un maiale ciascuno in inverno.

foto by mytuscany.it
A metà venivano divisi anche le spese e i profitti derivanti dalla conduzione del terreno, che venivano registrati sul libretto colonico. Per quanto riguarda la produzione del fieno e i terreni a pascolo venivano effettuati estimi alla consegna e al rilascio del podere".