lunedì 18 maggio 2015

Genio e fantasia dell'arte etrusca.

In questi tempi di immigrazioni di massa, polemiche e politiche varie, mi sento di pubblicare uno stralcio di un brano tratto dal libro "Maremma amara " di Alfio Cavoli, uno scrittore che di questa terra fu la memoria storica.


" Fu in direzione della Siria, della cipriota Salamina, dell'Isola di Eubea, poi di Corinto, di Rodi, di Atene , per tacere di molte altre località, che l'Etruria antica si aprì agli influssi artistici e culturali dell'Oriente. E non solo attraverso l'importazione di oggetti e di tecniche da quelle aree di diffusione particolarmente evolute, ma anche assecondando il fenomeno immigratorio di maestri dal talento spesse volte indiscusso.


Grazie alla frequenza di tali rapporti , l'arte prettamente etrusca finì pur essa col crescere dal punto di vista qualitativo e con l'affermarsi come genuina espressione di un popolo dotato di brillante ingegno, di fertile fantasia e di inusitate capacità creative.

sabato 16 maggio 2015

La Valle del Biedano nella protostoria : l'abitato di Norchia. Alessandro Mandolesi. #1

La valle del torrente Biedano costituiva, fin dalla tarda età del Bronzo, un importante itinerario imperniato sui centri d'altura di San Giuliano, Pontone, Blera e Norchia.
Questo percorso consentiva di collegare direttamente l'alto bacino del Mignone e le propaggini occidentali dei Monti Cimini con la valle del Marta, attraverso uno sviluppo che si mostrava quasi trasversale all'andamento naturale dei corsi d'acqua della Tuscia , che dai bacini lacuali di Bolsena e di Vico si dirigono verso ovest in direzione del mare.


Fra gli insediamenti cardine posti al controllo di questo tragitto, la collina di Norchia, centro di notevole interesse archeologico legato principalmente allo sviluppo dell'architettura funeraria rupestre di età ellenistica, si colloca nel tratto terminale della vallata del Biedano, prima che essa confluisca in quelle del Traponzo e del Marta.
L'abitato di Norchia insiste su un pianoro tufaceo di circa 9 ettari definito da ripidi precipizi , tranne che sul lato meridionale, dove in età storica fu realizzato, in corrispondenza di un avvallamento naturale, un ampio fossato artificiale, per delimitare e proteggere l'insidiamento etrusco. Nella parte settentrionale si distingue una piccola porzione , denominata "acropoli", che si separa dal resto del pianoro, tramite una strettoia, presso cui fu edificato il castello medievale.


Attorno alla collina, nell'ambito delle vallate laterali del Biedano , sono attestate numerose sorgenti perenni : il che ha certamente polarizzato, sin dalle epoche più remote, le attenzioni delle comunità umane , accanto alla quale si è presto unità l'accentuata vocazione agricola  delle vaste aree finitime al l'abitato.

venerdì 15 maggio 2015

La Barabbata a Marta (VT).

Come ogni anno, si è svolta a Marta, comune che si affaccia sul Lago di Bolsena, la Barabbata. È questa una festività di origine pagana, presumibilmente in onore della Dea Cerere che , con l'avvento del cristianesimo , si è trasformata in una cerimonia dedicata alla Madonna. 
Il 14 maggio dunque, tutti i rappresentanti delle antiche arti e mestieri , sfilano in costume , dietro a carri allegorici, attraversando il paese per raggiungere alla fine della sfilata l'antico Santuario della Madonna del Monte che si trova subito fuori il paese.

I CARRI E I MESTIERI























Casegli, Bifolchi, Villani e Pescatori, sfilano in ordine gerarchico con carri sui quali vengono esposti i frutti del loro lavoro e che verranno offerti in dono.

ARRIVO AL SANTUARIO DELLA MADONNA DEL MONTE










Una volta giunti in chiesa, dopo aver omaggiato la Madonna con rituali tradizionali ed ascoltato la messa, avviene la parte più caratteristica e misteriosa del rito, con le cosiddette passate : per tre volte tutti i partecipanti alla sfilata, compiono tre giri entrando dalla porta della chiesa ed uscendo da quella del convento, passando per il Presbiterio con gli attrezzi di lavoro e gli animali e facendo un gran chiasso.
All'ultima passata, i partecipanti lasciano sul l'altare i loro doni e  ricevono in cambio la tradizionale ciambella.
Questa festa, la cui preparazione richiede mesi di lavoro , costituisce  un importante momento di socializzazione per la popolazione di Marta ed una occasione per conoscere l'estradizione e la storia di questa parte della Tuscia Viterbese per i turisti che assistono numerosi alla manifestazione.

mercoledì 13 maggio 2015

Norchia (VT).

Norchia, la meta della prossima escursione si trova in provincia di Viterbo e più precisamente nei pressi di Vetralla.





E' questo un luogo attraversata dalla presenza dell'uomo fin dalla preistoria e fino al medioevo. Le prime tracce umane risalgono al Paleolitico superiore per aumentare nell'età del Bronzo, epoca alla quale risalgono i resti di capanne. 


A partire dal VI-V secolo a.C., con l'arrivo degli Etruschi, sorsero l'abitato, le vie cave e le necropoli che conobbero il loro massimo splendore tra il IV ed il II secolo a.C. 




Nel pianoro , occupato dalla città etrusca , vennero realizzati  nel medioevo  Pieve ed un castello ancora oggi ben visibili.


lunedì 11 maggio 2015

Escursione nella Selva del Lamone ( Farnese - VT)

Come dopo ogni escursione, riporto una serie di fotografie,  scattate dal nostro amico Alessandro, a proposito della visita svolta  lungo i percorsi degli Etruschi e di  di Rosa Crepante nella Selva del Lamone.

arrivati sul posto si decide il percorso
e quindi si entra nella selva oscura
inizia il sentiero di Rosa Crepante
si cammina tra le rocce laviche coperte di muschio

fino al cratere
Giuliano che non ha più il fisico si riposa
come un pò tutti del resto
ancora una foto della Rosa Crepante
e poi di nuovo in cammino per il sentiero degli Etruschi
fino a Rofalco, dal quale si gode di un panorama mozzafiato
camminando sui cocci etruschi....
 e tra i basamenti delle antiche abitazioni
lungo le mura ormai crollate
per poi arrivare alla Tomba del Gottimo
con il suo soffitto finemente lavorato

giovedì 7 maggio 2015

Macchiaioli a Marsiliana e Capalbio. Alfio Cavoli, Maremma amara.

Sul finire dell'ottocento, un altro celebre macchiaiolo, Eugenio Cecconi, frequentò assiduamente le zone della Marsiliana , di Capalbio e del Lago di Burano e oltre a riempire il carniere d'ogni sortta di animali, dipinse a sua volta quadri indimenticabili come Caccia al cinghiale nel padule di Burano, Il colpo di grazia al cinghiale ferito, l'insoglio, La tela delle folaghe, Partenza per la caccia dalla porta di Capalbio, dove la Maremma palpita di verità e poesia.

Caccia al cinghiale nella palude di Burano

Cecconi, che era avvocato, abbandonò ben presto la professione forense per dedicarsi anima e corpo alla pittura. Di lui, sull'Antologia del gennaio 1905, Guido Biagi scrisse : "...era pittore, era letterato e poeta e , soprattutto, cacciatore ".

Partenza dalla porta di Capalbio

La sua attività artistica e venatoria è ampiamente documentata nel volume " Cacce e cacciatori di Toscana " di Mario Puccioni, ma anche in un altro libro delizioso per chi ami la terra dei butteri che si intitola "Giornate di Caccia" del senatore Eugenio Niccolini

mercoledì 6 maggio 2015

I Macchiaioli a Marsiliana e Capalbio. Da Maremma amara di Alfio Cavoli.

Alla Marsiliana del principe Tommaso Corsini , Giovanni Fattori dipinse i famosi quadri della merca  e dei butteri con le mandrie dei buoi.
Il grande artista livornese fu ospite di questa fattoria del basso Grossetano nel 1882 e negli anni immediatamente successivi.

Mandrie maremmane

I dipinti Tre butteri con mandrie di bovini, Marcatura di puledri, Marcatura di torelli in Maremma, Mandrie maremmane, Il salto delle pecore, e tanti altri furono concepiti nelle sue nude e assolate campagne dove l'allevamento del bestiame allo stato libero rappresentò non solo una cospicua fonte di reddito per i padroni ma anche una nota dominante d'autentico folklore nella grande pianura che si estende fino al mare. 

La marca dei puledri


La marca dei torelli


Il salto delle pecore

Giovanni Fattori seppe così ben imprimere nelle sue tele il sapore e il colore di quelle atmosfere di vita brada che, chi conobbe la Marsiliana prima della riforma fondiaria non stenta  a trovare una perfetta corrispondenza tra i dipinti e la realtà.Il caposcuola dei Macchiaioli restò talmente impressionato da quelle scene, in pieno sole, affollate di mandrie e di uomini rudi, rotti alle più dure fatiche, che assai più tardi, nella sua Livorno, rappresentò con perfetto realismo questi aspetti salienti della Maremma grossetana traendo spunto dalle immagini che aveva fissato sui taccuini e che gli erano rimaste impresse nella memoria.

martedì 5 maggio 2015

Il sito etrusco Rofalco spiegato dal Prof. Mauro Incitti.

Riporto oggi uno scritto del Prof. Incitti che guido' le ricerche e gli scavi nel sito di Rofalco.


ROFALCO: un centro fortificato etrusco nella Selva del Lamone.
A seguito di una serie di ricognizioni preventive del G.A.R. concordate con l'ispettore di zona per la Soprintendenza archeologica per l'Etruria Meridionale e con il direttore del Museo Civico di Farnese, nell'agosto 1996 é stato effettuato un primo intervento di ripulitura di scavi clandestini all'interno dell'imponente cinta muraria di Rofalco, in collaborazione con al Soprintendenza archeologica per l'Etruria Meridionale e con il fattivo aiuto dell'amministrazione comunale di Farnese nel cui territorio rientra il centro fortificato etrusco. Va rilevato che le uniche immagini degne di nota effettuate precedentemente sul sito vennero svolte nei primi anni '80 da volontari del G. A. Romano guidati da R. Selmi poi edite da M. Rendeli ("Città Aperte Ambiente e paesaggio rurale organizzato in Etruria Meridionale costiera durante l'età orientalizzante arcaica", Roma 1993, pp. 212-220, bibliografia ivi compresa). 
   L'abitato, esteso per circa due ettari, si pone lungo il margine meridionale di uno dei più suggestivi ed incontaminati paesaggi dell'Italia centrale: la Selva del Lamone.
   Risulta delimitato su tre lati da una poderosa cinta di mura ad andamento semicircolare e con torri quadrangolari. L'altro lato appare naturalmente protetto da un alto costone a controllo dell'asse viario naturale costituito dalla Valle del torrente Olpeta. Lo spazio entro la cinta difensiva non presenta affatto un andamento pianeggiante, ma è il risultato di una serie di modifiche dell'uomo dell'aspro paesaggio della selva del Lamone.
    Le quote massime si riscontrano presso il costone meridionale e tendono ad aumentare gradualmente verso est. Verso il lato nord, il suolo degrada dolcemente creando una sorta di cavea, raggiungendo le quote minime in prossimità del tratto settentrionale delle mura, con un tasca leggermente rialzata nel settore compreso tra due torri quadrangolari.
    Su tutta l'estensione della superficie è ben visibile una ricca vegetazione arbustiva, purtroppo seriamente danneggiata da folte piante infestanti. Queste, inoltre, rendono poco leggibili e intaccano le strutture antiche affioranti.
    Le devastazioni maggiori risultano comunque create dall'azione dell'uomo. Sono infatti evidenti vecchi lavori di spietramento, per uso agricolo o per allevamento, che hanno danneggiato opere murarie stratigrafie di crollo. A tali sconvolgimenti si è poi aggiunta negli ultimi anni l'opera degli scavatori clandestini che hanno devastato i settori dove più erano evidenti le emergenze archeologiche. Tenendo pur presenti i limiti sin'ora enunciati, sembrerebbe che le costruzioni interne dell'abitato fossero organizzate a nuclei, disposti su terrazzamenti artificiali che digradavano verso il limite settentrionale. Questi gradoni vennero ottenuti livellando le formazioni rocciose naturali, impiegando nel contempo i materiali di risulta per la costruzione di strutture  ed edifici. E' assai probabile che in un primo momento la maggior parte del pietrame di risulta venne usato nella realizzazione delle mura, mentre per la costruzione degli edifici, o almeno per le loro fondazioni e per l'alzato della porta est, vennero utilizzati blocchi squadrati di tufo giallo. Alcuni di essi paiono indicare la presenza di muri disposti tra loro ortogonalmente sulle varie terrazze. Appare evidente che il tufo venne usato in una fase costruttiva forse coeva alla realizzazione della grande cinta muraria, o quantomeno della porta est. La presenza di frammenti di blocchi squadrati di tufo riutilizzati in varie murature farebbe supporre che vennero realizzate in una seconda fase costruttiva inquadrabile tra gli ultimi anni del IV ed il principio del III secolo a.C. Per quanto concerne la viabilità interna è assai probabile che seguisse l'andamento dei terrazzamenti artificiali raccordandosi agli assi principali legati alle vie di accesso all'abitato. Di queste una sola attualmente identificabile con certezza: quella che entrava attraverso la porta orientale. Data l'assenza di sorgenti entro la cinta di mura, è assai probabile che le strutture legate all'approvvigionamento idrico fossero spazi ipogei dove si raccoglieva acqua piovana. Sono oggi visibili due cisterne rivestite di cocciopesto messe in luce dagli scavi clandestini. Una è posta a sud-ovest, a breve distanza dal costone sull'Olpeta , ed una seconda, più ampia, si colloca in posizione quasi centrale su uno dei terrazzamenti inferiori del sito.
    Il lavoro d'indagine su Rofalco si può considerare appena iniziato, quindi il procedere delle ricerche potrà portare a nuove formulazioni di ipotesi, alla conferma , o smentita, di altre. E' comunque doveroso sin da ora formulare, quantomeno in via del tutto provvisoria, delle interpretazioni che permettano di inquadrare l'insediamento all'interno di una dinamica storica che prevarichi la sola - e sterile - illustrazione dei materiali. Prima dell'intervento dell'agosto 1996 si riteneva che l'insediamento di Rofalco fosse già attivo nel VI secolo a.C. Risulta comunque inconfutabile che in questo momento il centro conobbe un notevole sviluppo collegato probabilmente con la costruzione delle mura  e le fondazioni degli edifici in blocchi di tufo.
    La realizzazione dell'apparato difensivo, se non anche dell'abitato, va posta quindi in rapporto con un momento storico in cui si rese necessaria una consistente difesa del territorio, come potrebbero testimoniare altri ritrovamenti nel vulcente.
   Nel IV secolo a.C. nel vicino centro di Vulci si riscontra la fortificazione dei principali punti di accesso alla città con mura in opera quadrata di tufo. Inoltre tra la metà e la fine del IV secolo a.C. altri centri dell'area vulcente parrebbero venir cinti da mura: è il caso di Sovana, di Ghiaccioforte e forse Doganella. I motivi che resero necessaria la creazione di queste difese vanno quindi ricercati in una situazione storica che ne determinò l'esigenza. Tale necessità fu generata, probabilmente dalla guerra romano-tarquiniese, conclusasi nel 351 a.C., o dalle sue conseguenze. Non va infatti esclusa l'erezione delle fortificazioni negli anni immediatamente successivi, in previsione di una ripresa delle ostilità (con la non lontana Tarquinia Roma stipulò un trattato di pace quarantennale e a quanto risulta dalle fonti venne rispettato). Gli affreschi della tomba François di Vulci datati proprio tra il 350 e il 325 a.C. (o tra il 340 ed il 310 a.C.), parrebbero forse indicare una partecipazione vulcente a quella guerra e comunque mostrano un atteggiamento antiromano dell'oligarchia locale negli anni successivi al 351 a.C.
   La fine dell'abitato di Rofalco, come l'osservazione di stratigrafie parrebbe dimostrare, è legata ad un fenomeno traumatico, un incendio, verificatosi intorno ai primi decenni del III secolo a.C: Più che dovuta ad un incidente, tale distruzione potrebbe essere legata ad un episodio bellico forse indiziato da proiettili di frombola rinvenuti in uno strato d'incendio presso la porta est delle mura. Avvalorerebbe l'ipotesi l'apparente, definitivo e totale abbandono del sito dopo l'incendio. Quest'ultimo, molto presumibilmente, va posto in stretta relazione con la vittoria romana su Vulci nel 280 a.C. Il grande centro etrusco venne fortemente penalizzato dalla sconfitta: tratti di mura vennero smantellati, l'estensione dell'abitato si ridusse, l'entità dei corredi funerari diminuì fortemente, scomparvero iscrizioni etrusche nelle tombe e vennero sostituite da altre in lingua latina, nessun membro dell'aristocrazia locale, al contrario di ciò che si verificò per altre città etrusche conquistate, entrò a far parte del senato romano e scomparvero dai commerci alcune produzioni locali a favore di altre direttamente controllate da Roma.
   Probabilmente le truppe di Roma non si limitarono alla sola conquista della città, ma ne devastarono il territorio circostante. Infatti in questo momento l'abitato di Ghiaccioforte subì una violenta distruzione ed un definitivo abbandono. A Saturnia uno stato caratterizzato da un incendio, a cui segue un lungo abbandono, precede la fondazione della colonia del 183 a.C. ed è stato datato intorno al 280 a.C. A questi si aggiungano recenti ritrovamenti, pressoché inediti, effettuati dalla Soprintendenza archeologica per l'Etruria Meridionale quali l'insediamento di Poggio Evangelista a Latera e l'altro del Bagno di Musignano a Canino. Forse anche la distruzione dell'abitato di Doganella è da porre in rapporto con lo stesso evento bellico. L'oppidum di Rofalco, molto probabilmente, seguì la stessa drammatica sorte. Ne consegue che questo centro etrusco, almeno nelle parti sino ad ora indagate, sarebbe vissuto entro un arco piuttosto limitato nel tempo: circa settanta anni. Pertanto appare alquanto evidente l'importanza che ricopre non solo sotto gli aspetti storici, urbanistici e topografici, ma anche legati alla seriazione tipologica dei materiali. Risultano infatti chiusi in un arco cronologico abbastanza ristretto, tale da costituire un punto di riferimento fondamentale per gli studi a venire. Va poi rilevato che l'intervento su Rofalco renderà possibile la sua valorizzazione ripulendo e rendendo accessibili strutture e impianti, pressoché unici nel loro genere, entro uno dei più suggestivi paesaggi della Maremma, al confine tra Lazio e Toscana, qual'è la Selva del Lamone.



Dott. Mauro Incitti.

sabato 2 maggio 2015

L'escursione del 9 giugno nella Selva del Lamone ( Farnese - VT ).

Il 9 giugno e' in calendario un' escursione all'interno del Parco Regionale della Selva del Lamone. La riserva naturale, al confine tra Lazio e Toscana, occupa una superficie di circa 2.0000 ettari in parte nel Comune di Ischia di Castro ed in parte nel Comune di Farnese.

uno dei tipici sentieri della Riserva

Al suo interno si snodano numerosi sentieri che attraversano un bosco a tratti impenetrabile, di querce, cerri, cerro-sugheri e lecci. In questa occasione, abbiamo scelto di percorrere il sentiero della Rosa Crepante che è senza dubbio il più completo, toccando tutti i tratti caratteristici della riserva come il cratere della Rosa Crepante , la radura del Semonte ed il sito archeologico etrusco di Rofalco.

resti delle mur etrusche a Rofalco

Il sentiero presenta una difficoltà di percorrenza media e quindi per favorire tutti i partecipanti  l'esclusione verrà divisa tra mattino e primo pomeriggio, con una piacevole sosta in uno dei punti picnic presenti nella selva.

area picnic