venerdì 28 novembre 2014

Ricette natalizie della Maremma Castrense. Il baccalà' dolce.

Questo piatto veniva cucinato il giorno della vigilia. Bisogna pulire del baccalà ammollato da pelle e pinne e tagliarlo a pezzetti. In una casseruola appassire in olio abbondante la cipolla a fettine ; aggiungere la passata di pomodoro abbastanza liquida, eventualmente allungata con acqua.


 Salare leggermente considerando che il baccalà potrebbe essere salato e far bollire finché la cipolla diventa trasparente. Aggiungere i pezzi di pesce e uvetta ammollata. A cottura quasi ultimata aggiungere molto zucchero . Questo piatto ha origini remote e si conoscono scritti antichi di una ricetta simile dolcificata con il miele.

martedì 25 novembre 2014

L'Associazione Castrense del 1848-1849.

Il Risorgimento italiano fu vissuto nel Viterbese essenzialmente dai ceti più abbienti e culturalmente avvantaggiati. Nella Maremma Castrense in particolare, si ricordano gli scontri avvenuti a Farnese nei quali si affrontarono forze repubblicane contro sostenitori clericali. Nel 1848 venne fondata l'Associazione Castrense, composta per lo più dalle elites che abitavano i comuni un tempo ricompresi nello scomparso Ducato di Castro. L'associazione si riuniva inizialmente  una volta al mese per promuovere iniziative atte ad accrescere  "l'incivilimento popolare" ( come  previsto dallo statuto ), ma poi, dopo i rovesci della I Guerra di Indipendenza , si trasformò in una vero e proprio circolo politico che operava per mantenere vivo nella popolazione lo spirito patriottico ed il sentimento  unitario.
La prima riunione dell'associazione, repubblicana ed anti papalina, si tenne sulle rovine della città di Castro, proprio per ricordare il potere papale che portò alla distruzione nel 1649 della capitale del Ducato di Castro.




Dell'associazione rimangono alcuni documenti come lo statuto e due appelli, uno al popolo che si conclude inneggiando alla Repubblica Romana ed un  altro rivolto ai soldati francesi sbarcati a Civitavecchia con l'invito a non combattere contro la Repubblica Romana, nel nome dei principi della Rivoluzione Francese.

lunedì 24 novembre 2014

Il Palazzo Farnese di Gradoli (VT).

Il Palazzo Farnese, sorge sulla Rocca del XII secolo, le cui fondazioni in muratura ed in pietrame,  di forma discontinua, insistevano sullo zoccolo in tufo sul quale sarebbe poi stato costruito il palazzo rinascimentale. La Rocca, doveva avere un sistema difensivo, che comprendeva una cinta muraria di collegamento tra un torrione ed altre fortificazioni poste nella parte più bassa dell'altra, sulle quali si apriva la porta nelle vicinanze di una chiesa altomedievale andata distrutta intorno al 1519.



Proprio il 1519 dovrebbe essere l'anno dell'inizio dei lavori del nuovo palazzo, alla progettazione del quale partecipò anche Giovanni Battista da Sangallo, fratello di Antonio , che avrebbero dovuto portare , nelle intenzioni del committente, ad un edificio di transizione tra palazzo Baldassini di Roma, la residenza Farratini di Amelia ed il Palazzo Farnese di Roma.


Il palazzo di Gradoli, rispetto alle residenze signorili dell'epoca, si differenzia per alcune caratteristiche e propone aspetti che sarebbero poi andati consolidando nel secolo successivo. Tra questi la pianta trapezoidale, compatta, priva di corte interna, il cui ruolo viene traslato all'esterno sulla piazza antistante. All'interno dell'edificio, si possono notare tre scale che conducevano ad altrettante aree : una di rappresentanza, una che conduceva al piano nobile ed una di servizio.



Il loggiato progettato per sfuggire alla calura estiva, dipinto con architetture simulate, da un lato derogava ai canonici classici dei palazzi nobiliari, dall'altro adeguava la residenza in chiave albertiana secondo le esigenze di una committenza elevata. Posta in prossimità dello scarto tra prospetto principale e laterale, la loggia richiama alle sistemazioni del Sangallo della Rocca di Ischia di Castro e del palazzo Tarugi a Montepulciano.


Un altro aspetto del palazzo, atipico rispetto  alle case aristocratiche toscane e romane del primo cinquecento, è costituto dal disimpegno reciproco delle rampe in contrasto con la posizione a capo di corte della scala principale a capo di corte.
Attualmente il palazzo è destinato a sede del Comune di Gradoli ed ospita al suo interno la mostra di abiti del periodo compreso tra il XV ed il XVII secolo.

sabato 22 novembre 2014

Il sentiero 1.1 nella Selva del Lamone. Farnese (VT).

Questo sentiero costeggia la  Selva del Lamone , confina con la zona del Voltone ed offre la possibilità di godere  della fauna e della flora presenti nella riserva.





Nei boschi della riserva, le querce sono gli alberi maggiormente presenti. La specie più diffusa e' il cerro, un albero di grandi dimensioni che può arrivare anche ad un'altezza di 35 metri e ad un diametro di 1,30. Il cerro, che può vivere fino a 200 anni, ha un tronco diritto ed una corteccia marrone, profondamente fessurata. Le seconda specie più presente e' quella della roverella, un albero alto fino a 20/25 metri, con un tronco breve e spesso contorto e corteccia rossiccia. 





Tra le altre querce presenti nella Selva del Lamone, spiccano la farnia, il leccio ed il cerro-sughera. Le altre latifoglie che formano sia boschi puri che misti, sono il carpino bianco, un albero che raggiunge i 10-12 metri di altezza ed ha una corteccia liscia grigio cenere e foglie seghettate ; il bagolaro o spaccasassi ; varie specie di acero ; l'ornello ; l'agrifoglio ; il faggio ; il tiglio.
Scarsamente presente e' invece la macchia mediterranea, con la filirea specie  più rappresentata.
Essendo la riserva ricca di corsi d'acqua, e' facile imbattersi lungo il corso dei numerosi fiumi e torrenti, in esemplari di salici cespugliosi, salici arborei, pioppi e ontani.
Per quanto riguarda la fauna, in questa parte della foresta, e' stata realizzata con i fondi comunitari, un'area faunistica di circa sei ettari, recintata, che accoglie caprioli che vengono alimentati, monitorati e studiati per  seguire il loro adattamento all'habitat della Riserva Naturale. La presenza del capriolo e' comunque diffusa in tutta la riserva poiché, da pochi anni, si sono qui insediati nuclei provenienti dalla popolazione senese che è fortunatamente in forte espansione.

mercoledì 19 novembre 2014

Gli Etruschi e la lavorazione del bronzo.

Lo sviluppo dell'economia etrusca passò attraverso lo sfruttamento ed il controllo delle aree minerarie presenti nei loro  territori. In particolare ferro e bronzo vennero sfruttati da artigiani specializzati nella realizzazione di armi, strumenti di lavoro ed oggetti di prestigio. Nel tempo gli etruschi svilupparono due tecniche principali per la lavorazione dei metalli : il metodo a "cera persa" e quello a forme separabili e riutilizzabili,  a seconda dell'oggetto da costruire.


Per gli oggetti  piccoli si utilizzava la fusione piena nella quale il modello veniva realizzato di volta in volta a mano libera , mentre  per oggetti più grandi quella cava che permetteva anche un notevole risparmio di bronzo.  La tecnica indiretta, adottata successivamente, consisteva nella realizzazioni di matrici negative in gesso e terra,  all'interno delle quali veniva colata cera, che poi, attraverso canali o inglobando il modello in un mantello esterno di terra, veniva sciolta e sostituita da bronzo fuso al crogiolo. Le due tecniche talvolta erano usate contemporaneamente dando vita ad una tecnica mista.La tecnica di fusione a cera persa prevedeva la preparazione di un nucleo di terra, intorno al quale veniva modellata in cera la figura desiderata ed il bronzo veniva colato nell'interstizio vuoto.
Terminato il lavoro il bronzo veniva rifinito eliminando il materiale in eccesso e pulito con un'opera di raschiatura e levigatura con pietra pomice o raschietto metallico.
Il lavoro artigianale veniva spesso tramandato di padre in figlio e le matrici venivano quindi conservate e trasmesse di generazione in generazione.

Ricette natalizie della maremma castrense. Il torciglione.

'L torcigghione
Che Natale sarebbe se al cenone 
nun ce fosse a la  fine 'l torcigghione!
P'aiutavve e pe fà bella figura
V'emparo a fallo senza avè paura

Capate noce, nocchie e mandoline
( attente : se le scrozzate sò fine 
e ve cascheno dentro scasualmente
c'è pericolo de roppese le dente ).
Mettete a mollo l'ua passarina,
fate la cioccolata fina fina,
mischiate fiche secche e le cannite
co cannella e co zucchero acconnite.
Questo che avemo detto adè ripieno
megghio che sia de più e no de meno.
Pè la lansagna so che la sae fà
e nu c'è niente che t'ho da 'mparà:
Su 'na  cosa però me fermo 'n pelo :
ha da esse fina fina come 'n velo!
Poe fa su tutto bene avvoltolato 
come se fosse 'n serpo arruncinato.
Quenno è finito tutto, cò du nocchie 
piantate ne la testa, ghie fae l'occhie.
Sbatte dù torle p'allustrallo 'ntorno
mette ne la lamiera e porta al forno.
( Enrico Romanelli )




lunedì 17 novembre 2014

Domenico Tiburzi e la satira antigovernativa di fine ottocento.

Questo post è dedicato chi pensa che i tempi che stiamo vivendo in questo inizio di ventunesimo secolo siano un'anomalia nella storia del nostro paese. Nell'ultimo decennio dell'ottocento, pochi anni dopo l'unità, l'Italia era già scossa da una  profonda crisi economica, scandali finanziari, corruzione malversazione che legavano insieme classe dirigente, stampa e banche ( che strano ).

il Corriere della Sera e lo
scandalo della Banca Romana

L'episodio più grave fu certamente lo scandalo della Banca Romana, dal quale emersero irregolarità che andavano dal falso in bilancio, alla stampa  di biglietti duplicati, all'emissione di moneta eccedente.

Filippo Turati
Giovanni Giolitti
 Francesco Crispi


 In questo clima, sfruttando la popolarità di Domenico Tiburzi, il socialista Filippo Turati, pubblicò sulla rivista "Critica Sociale " una serie di scritti satirici che utilizzarono la figura del brigante maremmano come metafora per attaccare  Giolitti e Crispi. Sul foglio socialista, a metà del novembre 1893, uscì un opuscolo dedicato "All'on. Comm. Giolitti presidente del Consiglio dei Ministri" a titolo "La triplice incarnazione di Tiburzi, ovvero Tiburzi finto birro, finto politico e finto magistrato" , che consisteva in un racconto sulla furfanteria politica del ministero in questione ed associava la figura di Tiburzi e della sua banda a quella di Giolitti e del suo governo.

manifesto satirico del periodo

L'opuscolo ebbe un tale successo che fu imitato anche da altre testate come nel caso del foglio locale "La Lente"  di Pitigliano e venne ripetuto anche su "Lotta di classe"  a cavallo tra il 1894 ed il 1895 quando, al posto di Giolitti la figura del brigante venne sovrapposta a quella del  al nuovo Presidente del Consiglio Francesco  Crispi.

sabato 15 novembre 2014

I soldi perduti nella Riserva Regionale della Selva del Lamone (Farnese - VT ).

Quando si entra nella Selva del Lamone , come ho piu volte testimoniato in questo blog, si rimane meravigliati se non addirittura stupefatti per  la natura intatta che  appare addentrandosi per i sentieri, e  che ci riporta indietro nei secoli annullando , nel vero senso della parola,  l'idea stessa  di tempo e di spazio.

le capanne dei carbonai 1

le capanne dei carbonai 2

i servizi del villaggio
A riportarci con i piedi per terra e nel paese nel quale siamo, per certi versi costretti a vivere, sono le strutture ricettive, realizzate , se non sbaglio, con i soldi dei finanziamenti europei e lasciate marcire da anni nell'abbandono più completo.

entrata del casale della monta taurina
i servizi nel completo abbandono
il casale
Pubblico oggi, in stile striscia la notizia,  le fotografie del rifugio dei carbonai e del casale che si trova nei pressi della monta taurina, finiti, arredati e mai , ovviamente , utilizzati.

camere arredate completamente
cucine mai utilizzate

giovedì 13 novembre 2014

Ricette della vigilia di Natale. Minestra di ceci.

Si avvicina il Natale e quindi mi sembra opportuno pubblicare alcune  ricette tipiche della Tuscia viterbese, come la minestra con ceci e castagne che veniva preparata alla vigilia.
Mettete i ceci in ammollo il giorno precedente insieme con il baccalà, cambiate l'acqua almeno una volta e il mattino della vigilia metteteli a lessare ( al dente )  con  l'aggiunta di un rametto di rosmarino ben legato e lasciateli a bagno nell'acqua di cottura. Mettete in ammollo per alcune ore poche caldarroste o mosciarelle in acqua tiepida e ponete sul fuoco  la pentola della minestra con sufficiente acqua ; al bollore aggiungere le castagne e i ceci avendo cura di non farli raffreddare molto nel cambio d'acqua.


In un pentolino mettete olio e aglio, fate soffriggere dolcemente e aggiungete alla minestra; prima di mettere il sale assaggiate , perchè i ceci si portano dietro il sale del baccalà. Questa minestra deve bollire a lungo e risultare cremosa ; alla fine aggiungete spaghetti spezzettati o pastina tipo  gramigna.
In passato questa minestra era dolce e ancora oggi è priva di pomodoro per ricordarci le sue antiche origini quando "dolce" significava festa e il pomodoro non era ancora arrivato.

mercoledì 12 novembre 2014

Le Sorgenti della Nova. Alla ricerca dell'antico nome.

Ci avviciniamo all'inverno e quindi alla stagione ideale per visitare siti archeologici che durante l'estate per l'incuria degli uomini  vengono coperti dall'erba e quindi non possono essere visitati e studiati a fondo.
Le Sorgenti della Nova sono un tipico esempio dei siti presenti nel territorio della Maremma Castrense ma poco noti ai più.
Dal libro di Nuccia Negroni Catacchio e Massimo Cardosa, riporto  oggi un brano che oltre a trattare il  nome del sito, offre anche una serie di informazioni interessanti per gli appassionati del territorio e dei suoi castelli abbandonati.

il territorio circostante al sito archeologico

"Nella storia di un territorio, compaiono speso variazioni di nomi , per cui è difficile a volte ritrovare luoghi o insediamenti citati nei documenti antichi.
Sorgenti della Nova deriva il suo nome dalla ricca sorgente collocata alla base della rupe su cui insiste : così è stato denominato l'abitato subito dopo la sua scoperta, per distinguere il sito dal territorio circostante e per ovviare a una contraddizione tra il termine riportato dal foglio della cartografia IGM ( "La Roccaccia") e quello abitualmente il uso localmente ("Il Castellaccio "). In realtà anche quest'ultimo termine risulta abbastanza recente, in quanto attribuito al luogo per la presenza dei resti di un castello abbandonato e non più esistente negli antichi catasti del territorio di Farnese.


la sorgente
In un primo momento, a un esame sommario dei documenti si era pensato che l'abitato di Sorgenti della Nova fosse da identificare con l'antica Citigliano; in realtà, successivamente, in base a un esame più attento si è potuto ricostruire che il nome antico dell'insediamento era Castiglione.
In un documento datato 11 ottobre 1210, l'imperatore Ottone IV riconosce a Ildebrandino Aldobrandeschi il possesso legittimo sulle terre che furono già del conte Ranieri di Bartolomeo, che quest'ultimo aveva donate nel giugno del 1168 al comune di Orvieto: Pitigliano, Sorano, Vitozza, Sala, Ischia, Farnese, Castiglione, Petrella, Morrano, Castellorso.
Molti documenti di età successiva che riguardano i parenti di papa Paolo III Farnese citano ancora questa località senza però che sia possibile capire dove fossero situate esattamente le terre e il castello di Castiglione.

la torre del castello
Notizie  più certe sono inserite invece nel testamento di Ranuccio Farnese il Vecchio, dettato nel castello di Ischia nel 1450: in esso il nobile destinava al fratello Meo alcuni insediamenti che risulterebbero situati nei pressi di terre tra le quali compaiono anche Castiglione. La Roccaccia, Morrano e Mezzano. Se i resti del castello di Morrano si possono individuare nella località denominata Morranaccio ( lungo il fosso della Nova nel comune  di Pitigliano),  mentre quelli di Mezzano sono vicini al lago omonimo sul monte Rosso, allora il territorio di Castiglione doveva estendersi tra queste due località : proprio dove le reminiscenze più importanti sono quelle di Sorgenti della Nova. il termine "la Roccaccia" indica invece ancor oggi un altro castello abbandonato, sito molto vicino a Sorgenti della Nova, al di là del corso della Valenza in territorio di Pitigliano.
Ad avvalorare la tesi contribuisce un vicino fosso chiamato da chi abita nella zona il "fosso del Castiglione "; infine nel catasto Chigi del 1749 conservato nell'archivio storico di Farnese, si parla di una zona di ruderi di fianco a Pitigliano, detta Castiglione.
Sembra quindi probabile che nel Medioevo questo fosse il nome del castello che insiste sull'abitato di Sorgenti della Nova e che, come accade quasi di regola, una volta abbandonato, divenne il "Castellaccio"."

domenica 9 novembre 2014

Ischia di Castro e la Grande Guerra.

È stato presentato nei locali del comune di Ischia di Castro, il libro di Maura Lotti e Pier Luigi Gavazzi "Cademmo per lasciarsi la Patria libera e unita " , Ischia di Castro e la Grande Guerra, della catena di libri  "Quaderni di Ischia di Castro", edita da Davide Ghaleb Editore.


 Maura Lotti, si occupa della grande storia vista però da una prospettiva insolita, quella del suo paese natale,  lontano dai grandi scenari che abbiamo conosciuto  studiando a scuola  ma, come  migliaia di altri  piccoli centri italiani, pienamente coinvolto da drammi e mutamenti sociali tipici dei grandi eventi.
Maura Lotti durante la presentazione del suo libro
Questa volta dunque, si parla della prima guerra mondiale e Maura lo fa' senza retorica, ricordando i volti e le storie delle centinaia di soldati contadini, quasi sempre poveri ed analfabeti,  partiti per il fronte e delle decine di ragazzi morti in battaglia o una volta tornati a casa, per le ferite e le malattie contratte al fronte. Il libro parla anche delle donne, dei vecchi e dei ragazzi rimasti  a casa, che nei campi furono chiamati a sostituire chi era partito per la guerra.


Il libro si conclude analizzando  le iniziative ed i  monumenti che a questi caduti vennero dedicati  nel corso del tempo , a volte strumentalmente come durante il regime fascista, a volte in maniera spontanea e sincera. Per concludere un documento redatto in maniera scientifica ma allo stesso tempo coinvolgente  perché mostra un grande evento storico attraverso i  volti e nomi  di alcuni  di quei milioni di italiani che quasi mai    conosciuti e ricordati.

venerdì 7 novembre 2014

L'olio nella tradizione popolare.

Al giorno  d' oggi siamo abituati a  considerare l'olio di oliva una eccellenza della cucina italian ed un prodotto importante a livello economico industriale. Fino a pochi decenni fa' invece, l'uso dell'olio travalicava la soglia della cucina per entrare nel novero dei prodotti medicinali popolari. L'olio diventava così l'elemento di base di pomate ed unguenti fatti in casa  come ad esempio l'olio  ferrato, che  veniva considerato la panacea di un gran numero di mali, per uomini ed animali.


Questo " miracoloso" medicamento, buono per artrosi, otiti, geloni, tosse, mal di gola, mal di denti, arrossamenti, ecc, ecc. ecc., si preparava unendo con il fil di ferro tre pezzetti di metalli di leghe diverse e facendogli arroventare per poi farli soffriggere tre volte  per trenta secondi in un pentolino d'olio. L'olio  ferrato così ottenuto, veniva poi usato per ungere o massaggiare la parte dolente. Si riconosceva all'olio  anche un uso purgativo e ricostituente in particolar modo per i bambini.  La cosa che mi ha però più incuriosito riguarda l'uso di questo alimento che, unito alla cipolla e ridotto in una poltiglia , veniva usato per guarire le galline dalla pitina, malattia che portava alla secchezza della lingua con conseguente impossibilità per le povere bestiole di raccogliere le granaglie.

mercoledì 5 novembre 2014

Le monete battute dalla Zecca della città Castro.

Nella città di Castro grazie ad una Bolla papale del 1537, emessa sotto il ducato Pier Luigi Farnese, si concedeva il diritto,  di battere   monete d'oro e d' argento. Pier Luigi Farnese fece esplorare il territorio del ducato per vedere se si trovassero  miniere di metalli adatti al conio  ma,  visti gli esiti negativi delle ricerche, alla fine   dovette ottenere dal Papa il privilegio di importare i metalli preziosi da usare nella Zecca.  

Scudo d'oro
La moneta di maggior valore era lo Scudo d'Oro del quale esistevano tre diversi coni. Nella parte anteriore del primo  Scudo,  era impressa l'arme gentilizia di Casa Farnese  in uno scudo coronato, con Gonfalone e le Chiavi Pontificie nel centro e la leggenda : P.Loisius F.Dux Cast, I. Nel rovescio era rappresentata una Croce formata da due nodosi tronchi, con quattro gigli negli angoli ed al centro il motto : Lignum naufragi Exper. Il secondo conio differiva dal primo per la leggenda che in un lato recitava  Petrus Aloisus Far, Dux Castri e nell'altro Lignum naufragi Expers. Il terzo conio era simile al precedente se non per la mancanza dei  quattro gigli.

Paolo d'argento
Dopo lo scudo c'erano i Grossi che secondo i nomi dei Papi che facevano coniare moneta, presero il nome di Giulii, Leoni, Clementii e,  solo dopo Paolo III , incominciarono a chiamarsi Paoli.  Nella parte anteriore, i paoli d'argento avevano impresso lo scudo gentilizio coronato e la leggenda : P. Aloysius Dux Castri I  e nel rovescio un unicorno che tuffava il corno nelle onde e faceva fuggire i serpenti,  con un motto che diceva : Virtus securitatem parit. I Grossi furono di diverso conio.

quattrino
Oltre  alle monete in oro e argento, a Castro si battevano i Quattrini , monete di bassa lega che subirono variazioni di valore e rimasero in circolazione fino al 1600 quando furono sostituiti da altri battuti in puro rame. 

martedì 4 novembre 2014

Le catacombe di S. Cristina a Bolsena (VT).


La cripta ottocentesca dalla quale si accede
alle catacombe

il sarcofago della santa  posto nella cripta  al livello
delle catacombe


Bolsena, sotto il versante nord-est della  Basilica si Santa Cristina, si trovano le catacombe che ospitano circa 1600 loculi funerari. Datate tra il IV ed V secolo d.C., sono costituite da un corridoio centrale , diramazione di un condotto più antico,  lungo circa quaranta  metri ed alto sette,dal quale ne partono altri secondari, perpendicolari e con lunghezza decrescente man mano che ci si avventura sottoterra.



il corridoio centrale delle
catacombe


uno dei rami secondari

Le pareti, come in tutte le catacombe, sono occupate da loculi e nicchie scavate nel tufo a seconda delle dimensioni dei corpi e sigillate da grandi mattoni romani che venivano fissati con calcina e spesso rifiniti con iscrizioni, graffiti o dipinti. I più ricchi facevano incidere il loro epitaffio su lastre di marmo lavorate.

la sola iscrizione rimasta intatta a chiusura di un loculo

frammenti lastre in marmo
In   contrasto con la  storiografia ufficiale, che lega l'origine delle catacombe e la tomba di S. Cristina ad una necropoli paleocristiana, viene avanzata anche l'ipotesi che queste sorgano su una antica via cava etrusca e che lo stesso culto della santa, risalente al IV secolo d.C. , altro non sia che la prosecuzione di culti precedenti, assimilati, come altri nella zona, e trasformati nel passaggio dal paganesimo al cristianesimo.

dipinto su un mattone romano di chiusura
di un loculo

lunedì 3 novembre 2014

Le abbazie nel territorio della Maremma Castrense dal XIII al XV secolo.

Sempre dal libro di Carlo Nanni, "Castro e il suo Santo Vescovo, ho estratto il brano che riguarda l'assetto del territorio castrense nel periodo compreso tra il XIII ed il XV secolo, quando  la diocesi di Castro ed i suoi vescovi  dovettero fare i conti con le diverse abbazie e monasteri di origini antichissime presenti nelle campagne del suo territorio.

il castello ed il ponte della Badia
Tra queste, l'abbazia o monastero di San Mamiliano "ad pontem" presso il ponte della Badia a Vulci che comprendeva la chiesa ed il circondario di Musignano sulla riva del fiume Timone, ricadente oggi nel comune di Canino. Per un certo periodo questa  ruotò nella cerchia benedettina di Farfa, fu poi devastata dai Saraceni nel IX secolo e successivamente assegnata al Vescovo di Castro. Nel XII e XIII secolo riacquistò la sua autonomia grazie ai Cistercensi e forse ai Templari,  che probabilmente diedero all'edificio la forma di fortilizio che mantenne anche dopo le opere di rinnovamento con strutture abitative rinascimentali ad opera dei Farnese, che ne divennero possessori verso la fine del XV secolo.

il castello di Musignano
I Cistercensi tra il XIII ed il XV secolo fecero rifiorire antiche abbazie malandate nelle strutture e nella vita religiosa e funzionarono da "braccio spirituale" per l'ordine militare dei Templari che ,essendo dei laici, provvidero alla presenza dei Cistercensi nelle adiacenze dei loro centri religioso-militari.

l'eremo di Poggio Conte che ricadeva nel
territorio di San Colombano
Vicino a Castro, al di là dell'Olpeta, era collocata l'antichissima abbazia o cella o monastero di San Colombano. Essa è ricordata oggi da un toponimo "colli San Colombano" dove si trova un casale che potrebbe essere su, o nelle vicinanze del sito abbaziale. Verso il IX secolo dovette dipendere dall'abbazia imperiale di San Salvatore dell'Amiata, e ancora dopo da Montecassino e nel XIII dai Cistercensi.

S. Maria di Sala 
Ancora ai Cistercensi vennero affidati per un periodo, il piccolo monastero o cella di Santa Maria di Sala presso Farnese ed il cernobio di San Agostino nel territorio di Montalto. Scomparsi nel tardo medioevo questi insediamenti religiosi, il territorio di loro proprietà fu rivendicato dai Vescovi castrensi o dalle chiese delle terre e castelli nel cui territorio si trovavano o accaparrato e dato dalla Santa Sede in commenda a prelati o in concessione a famiglie nobili.